Mentre i suoi giocatori e il suo presidente festeggiavano sul campo di Siena la conquista dello scudetto, Josè Mourinho, allungato sul sedile del pullman interista, con la medaglia tricolore appesa al collo, concedeva a un fortunato collega la prima intervista umana della sua carriera in Italia.
Esausto dopo le tremende emozioni di un incontro alla frusta, con la Roma e il Siena a insidiarlo fino all'ultimo secondo di gioco, Mourinho è apparso umile e sincero, riconoscendo il valore dell'avversario, riconoscendo che i campionati è meglio vincerli per distacco e in tutta serenità, perchè così è troppo emozionante. No, non si rischia l'infarto, ma si soffre troppo.
Qualche minuto prima si era fatto il segno della croce, quando un'arrembante azione offensiva del Siena aveva sfiorato pericolosamente quel pareggio che avrebbe rovinato tutto un campionato condotto in testa, e regalato lo scudetto alla Roma.
Forse Mourinho ha capito che gli avversari vanno apprezzati ed elogiati quando lo meritano, e non demonizzati e scherniti per tenerli a bada. Poi si è proiettato verso Madrid, dove domenica, contro il Bayern Monaco, potrebbe conquistare il suo terzo "titulo" stagionale, certamente il più prestigioso. Senza spocchia, ma con animo sereno.
Mourinho è forte, lo sappiamo tutti. Ma appare molto più forte se, in un momento di debolezza, anche lui si mostra umano, come siamo tutti noi che lottiamo, soffriamo, vinciamo e perdiamo senza per forza scagliarci contro qualcuno.
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