sabato 15 maggio 2010

La giostra di Ettore - I miei ricordi - 49

Subito dopo la guerra, quando ci fu assoluta mancanza di mezzi e non si poteva giocare che con la fantasia, chi aveva più sveglia questa facoltà finiva col dominare la scena, fra noi bambini o appena adolescenti di Acuto.
Le vacanze erano prolungate, tempo ce n'era quanto se ne voleva. Il centro dei giochi era senza dubbio lo slargo di San Nicola, vecchia chiesa andata distrutta da secoli e ora divenuta un ampio balcone aperto sulla verde vallata di Anagni.
C'erano due fratelli un po' più grandi di noi, Ettore e Francesco, con lo strano soprannome di Quattraccinque derivato dagli antenati. Abitavano proprio su una vecchia costruzione di quattro piani prospiciente lo spiazzo di San Nicola. Erano un po' rozzi perchè del tutto ineruditi, ma fantasia ne avevano da vendere. E poi avevano quella bella finestra altissima sulla piazza.
All'altra estremità c'era un grande palo della luce. Che ti pensarono, Ettore e Francesco? Con una cordicella lunga almeno una ventina di metri collegarono la loro finestra con quel palo della luce; la cordicella scendeva da quindici metri di altezza fino ai due/tre metri del palo, e su quella cominciò a volare un minuscolo aeroplano di legno o forse due, che essi avevano ingegnosamente costruito ed equilibrato. E decine di bambini assistevano ammirati allo spettacolo del piccolo aereo che volava lungo il filo, e veniva raccolto a ridosso del palo dal più giovane dei due fratelli, Francesco. Lo spettacolo si ripeteva, ogni volta più ammirato. E gratuito.
Non era del tutto gratuito il secondo gioco che i due fratelli Quattraccinque produssero, sempre in legno: un piccolo carosello con tre o quattro seggiolini, messo in moto manualmente da Ettore, aiutato da un congegno di corda. I bambini più piccoli si azzuffavano tra loro per poter compiere quei pochi giri in tondo, lenti e faticosi, ripagati con una monetina di rame di cinque centesimi, quella che riproduceva un'ape sui petali di una rosa.
Questi furono i giochi che ebbero maggior successo. Per il resto c'erano le gobbette, cioè i salti sulle groppe dei bambini più grandi ; o il gioco della picca, una specie di rubabandiera; o la lizza, con un bastone che faceva rimbalzare un pezzetto di legno appuntito colpendolo al volo, e vinceva chi, dopo una serie di colpi, lo mandava più lontano. Le palline in buca: zipitì, zipitè, in buca c'è. La palla prigioniera. I più evoluti giocavano una rudimentale imitazione della palla a base, introdotta dagli alleati al loro arrivo. Si giocava con mezzi poverissimi, e con tanta voglia di dimenticare le sofferenze e le amare privazioni della guerra (continua).

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