C'era una suora, nel convento di Acuto (dove santa Maria De Matthias aveva fondato l'ordine del Sangue Prezioso nel 1834), che era una vera animatrice di cultura popolare.
Si chiamava suor Cesira, era di umili origini di una frazioncina di montagna, Porciano, ma aveva un ingegno così vivo, una mentalità così aperta, da diventare una specie di faro dell'intero paese.
Dirigeva con mano esperta l'asilo infantile, che funzionava a meraviglia. Non contenta di ciò, suor Cesira andava aggregando intorno a sé altre forze: stava promuovendo una scuola media privata, diretta dalle suore stesse ed aperta anche all'esterno, alle ragazze di Acuto. Alcune delle suore erano laureate, conoscevano il latino e il francese, la pedagogia e la psicologia, la matematica e l'arte. Tutte e tre le mie sorelle avevano frequentato quella scuola con buoni risultati, e nel paese quel collegio era veramente al top.
Ma suor Cesira amava soprattutto il teatro e la musica, e le avevano affidato la conduzione di un doposcuola aperto non solo alle ragazze, ma anche ai bambini.
La suora poteva così attingere a piene mani ad un vivaio promettente, dal quale ricavare attori per le sue recite, i suoi piccoli spettacoli che si ispiravano all'operetta e al varietà.
Anch'io, all'età di cinque o sei anni, rientrai per un momento nel raggio di attenzione della scatenata suor Cesira, la cui figura ho ritrovato in tempi recenti nel personaggio di suor Claretta di Sister Act, la bravissima Woopi Goldberg. Mi aveva prescelto come protagonista di una commediola romana, in cui avrei impersonato un "possidente bello e grasso" che se ne andava "dall'Ariccia a Albano,/da Genzano a Marino" combinando una serie di affari. La recitazione si alternava con il canto di divertenti ariette che ancora ricordo benissimo.
Io recitavo abbastanza bene e me la cavavo anche con il canto: promettevo, insomma. Suor Cesira, però, non aveva fatto i conti con il mio nemico numero uno, il panico da palcoscenico.
Arrivata, infatti, la serata della prova generale, con tanto di pubblico schierato al gran completo nel salone delle suore, le luci accese, l'attesa vibrante dei parenti, il "possidente bello e grasso", cioè il sottoscritto, si squagliò completamente come neve al sole appena chiamato al proscenio.
Un vero e proprio tradimento, il mio, nei confronti della povera regista suor Cesira, che si disperò per qualche momento, ma poi riuscì a trovare un "vice" forse meno bravo, ma dalla gran faccia tosta, che riuscì a coprire bene il ruolo e a ricevere anche la sua bella razione di applausi.
Da quel momento capii che le luci della ribalta non erano lo scenario giusto per me, e lo capì anche la buona suor Cesira, che non mi fece mai pesare la sua delusione.
Comunque, un complimento alla brava suora, che già nel 1940 aveva intuito qualcosa dello sfondo educativo e sociale dell'arcinoto film di Emile Ardolino del 1992. (continua)
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