sabato 22 maggio 2010

I pericoli del lago - I miei ricordi - 55

Il lago di Canterno è tanto bello per la natura che lo circonda quanto pericoloso per le sue rive melmose e scivolose.
Purtroppo, il lago fu teatro, negli anni 50, di una tragedia di grandi dimensioni. Un gruppo di collegiali, guidati da un religioso originario di Acuto, padre Dante, appena arrivati per una giornata di vacanza, accaldati e sudati, si gettarono nelle acque apparentemente invitanti del laghetto. Quando si accorsero che il fondo era instabile e sdrucciolevole, era ormai troppo tardi: si ritrovarono sul fondo, a non più di due o tre metri di profondità, e anche chi sapeva nuotare non riuscì a sottrarsi all'abbraccio del fango, che li avvinghiò e inghiottì uno dopo l'altro.
Padre Dante, disperato, si gettò nell'acqua limacciosa, cercando di salvare qualcuno dei suoi collegiali, ma morì affogato anche lui. Una tragedia incredibile, nella quale rimasero vittime una decina di ragazzi e il loro superiore.
Chiunque si accosti al lago di Canterno, tenga ben presenti queste caratteristiche: è assolutamente vietato bagnarsi nelle insidiose acque di questo laghetto, anche vicinissimo alla riva, che è proprio la più insidiosa, e una volta scivolati sul fango viscido non c'è speranza di fermarsi.
Nelle acque di Canterno, da puro incosciente, ho rischiato di affogare anch'io. Accadde almeno cinque o sei anni prima di quella grande tragedia, di cui tutti i giornali scrissero con titoli anche a nove colonne, ma oggi tutti si sono dimenticati, e neppure nei motori di ricerca di Internet sono riuscito a trovarne traccia.
Io e un mio amico, Mario, un ragazzo di Frosinone lungo come una pertica, che aveva parenti ad Acuto e si era subito aggregato al nostro gruppo, eravamo andati in gita al lago, quando vedemmo una barca ormeggiata non lontano dalla riva, su un canaletto che portava verso il centro del lago stesso. La barca era incustodita, e decidemmo di salirci, ma risultò tutt'altro che facile.
Mario, che era più alto e slanciato di me, finalmente riuscì a salire sulla barca, ma io rimasi impantanato nel canale, anch'esso vischioso e pieno di piante acquatiche nelle quali le gambe rimanevano avvinghiate. L'acqua era alta non più di due metri, e io in un primo tempo vi rimasi sommerso. Mario mi vide in difficoltà, e afferrandomi per i capelli mi fece riemergere e mi aiutò ad aggrapparmi alla barca e a salirvi sopra.
Quando si trattò di riguadagnare la riva, mi rituffai ancora una volta, e ancora una volta rischiai di rimanere avvinghiato nella vegetazione e nel fango, ma per fortuna riuscii a districarmi, sempre con l'aiuto di Mario.
A casa non raccontai nulla. Quando, pochi anni dopo, accadde la tremenda tragedia, meglio di ogni altro capii quale era stato l'orrore della fine di quei ragazzi. Il religioso che li guidava e che per loro sacrificò vanamente la sua vita, padre Dante, era fratello di Antonio, mio vicino di banco alle elementari, che diventò egli pure sacerdote, ed è stato per lunghi anni parroco di San Pietro in Acuto, a pochi passi dalla sua casa natale ( continua ).

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