Tra i colleghi più divertenti che ho avuto nella mia lunga carriera ricordo volentieri Alberto Buttaglieri. Era di origine genovose, con madre romana, una popolana dall'animo indomito che io mentalmente accostavo ad Anita Garibaldi.
Buttaglieri, brillante 110 e lode di laurea, più giovane di me di una decina d'anni, aveva affittato un monolocale a Centocelle, e andava in giro con una cinquecento scassatissima che fu preziosa anche per me nell'anno in cui insegnammo insieme a Bellegra. Era quasi mio vicino di casa a Roma quando io abitai per pochi mesi in Viale dei Romanisti, e tutte le mattine ci davamo appuntamento per condividere il nostro viaggio d'andata e poi quello di ritorno.
Buttaglieri aveva il cervello instancabile e soprattutto una gran lingua sciolta. Sapeva cogliere al volo le occasioni e sfruttarle abilmente. Mi raccontava di essersi inventato all'Università il nome e le teorie di critici inesistenti in occasione di certi esami, riuscendo sempre a strappare voti altissimi, e di essersi fatte assegnare delle conferenze in un istituto di monache facendo discorsi inventati lì per lì davanti a un pubblico di educande che ascoltavano estasiate i suoi sproloqui.
Di queste mirabolanti imprese ebbi alcune prove concrete in modo diretto. Durante un viaggio verso Bellegra, ricordo che parlammo di un argomento politico di cui io gli riferii la sostanza dopo averlo letto attentamente sull'"Espresso". Ebbene, lui, appena giunto al bar sotto scuola, nel centellinare un caffè bollente, ripeté pari pari il contenuto dell'articolo da me letto, attribuendone sia la lettura che le relative riflessioni a se stesso, senza che io ovviamente avessi il coraggio di chiarire ai colleghi la corretta realtà dei fatti. Come si fa a contraddire o a correggere un personaggio di questo tipo, "miles gloriosus" della pseudocultura?
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