Nessuno di noi insegnanti di Trevi era di ruolo. Quasi tutti avevamo una nomina annuale, che in genere veniva rinnovata l'anno dopo, con una specie di riassunzione che si estendeva fino al 31 agosto successivo. Lo stipendio, se ben ricordo, si aggirava intorno alle 50 mila lire, equivalente a quello di un impiegato delle poste di prima nomina. Per me, che provenivo da incerti compensi come collaboratore di giornale, erano comunque una sicurezza e una soddisfazione.
Viaggiavamo tutti i gironi, partendo da Roma verso le 6.30, e tornavamo tutti insieme, un gruppeto di quattro o cinque, fruendo del passaggio (a pagamento, ovviamente) di un collega, Pasquale Ciccone, più anziano di noi e che disponeva di un ampio macchinone, mi pare una Fiat 1100. Il ritorno a Roma avveniva di norma intorno alle 15.
Oltre a me e a Pasquale, viaggiavano anche i colleghi Marisa Di Stefano e Gianni Fiore, e a turno altre colleghe come Concettina e Adriana. Il viaggio veniva a costarci sulle quindicimila mensili, cioè un terzo del nostro guadagno complessivo. Ci restavano trentacinque mila lire, quanto bastava per vivere decorosamente, essendo quasi tutti scapoli, tranne il vecchio Pasquale che aveva moglie e figli ed era anche proprietario di una cartolibreria nel quartiere Prenestino.
Di solito il viaggio era abbastanza divertente, tra una chiacchiera e l'altra. Non mancavano momenti di broncio o di polemiche, come è inevitabile, ma anche questo faceva parte di un'armonia complessiva e di uno stato d'animo piuttosto gioioso.
Però, al termine di una settimana di viaggi, il peso dei chilometri e della fatica si faceva sentire. Sicché, dopo un mesetto circa, raccogliemmo l'invito di altri colleghi che invece restavano tranquillamente a Trevi, e ci sistemammo quasi tutti in due pensioncine familiari. Noi colleghi maschi eravamo ospiti di una piccola trattoria-locanda tenuta da due sorelle, Edia e Sistina Del Signore, cugine del sindaco di Trevi.
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