Nelle lunghe giornate di Trevi nel Lazio, fra le lezioni del mattino e le passeggiate pomeridiane, trovavo anche il tempo di coltivare la mia passione di scrivere. Qualche poesia d'amore, e un piccolo romanzo per l'infanzia, piuttosto un racconto lungo: "Le grotte di Orciano".
Finalmente trovavo il tempo di dedicarmi alla scrittura disinteressata, dedicata ai ragazzi fra i dodici e i quattrodici anni, esattamente quelli ai quali insegnavo la mattina.
Un racconto in parte autobiografico sulla mia infanzia, in parte inventato e fantastico. Man mano che lo andavo componendo, affliggevo i miei alunni obbligandoli ad ascoltarlo. Mi rendevo conto che mi seguivano con un certo interesse, in particolare un ragazzo e una ragazza ricchi di fantasia, che addirittura mi chiedevano in anticipo le vicende che si sviluppavano nel racconto.
Ho sempre avuto un ottimo rapporto di comunicazione con i miei alunni. Mi ascoltavano e partecipavano. Non ero un campione nel tenere la disciplina, ma questa mia facilità nel tenere i contatti mi aiutava moltissimo, e non ho mai avuto problemi di condotta, nelle mie classi. Mi ricordo che un collega giovane, con una laurea brillante, mi chiedeva come facessi a leggere lunghi racconti in classe destando la generale attenzione, mentre lui, con tutta la sua brillante parlantina, non riusciva a creare un vera comunicazione ed aveva grossi problemi nel tenere calmi gli alunni.
La ragazza che mi ascoltava con la massima attenzione, Marisa, era di una famiglia di poveri contadini, ma aveva una fantasia fervida, e i suoi temi mi colpivano per quella strana forza, quasi selvaggia, di comunicare le sue idee.
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