Ne riportai, così, una buona impressione complessiva, che mi aiutò a non rimpiangere troppo la mia decennale esperienza di aspirante giornalista che mi aveva fatto conoscere un po' il mondo.
Entravo nella scuola con molta umiltà ed un grande entusiasmo, consapevole del mio ritardo professionale che però volevo recuperare al più presto.
Mi assegnarono due classi, prima e terza, nelle quali insegnavo italiano, storia, geografia e latino, che allora era ancora materia obbligatoria, e per la quale provavo particolare attrazione. Mi diedi subito a insegnare con impegno l'analisi grammaticale e l'analisi logica, che sono le basi di un corretto insegnamento letterario.
I ragazzi erano quasi tutti di umile provenienza, figli di contadini e di pastori; i più evoluti provenivano dalle poche famiglie di artigiani e di commercianti. In genere le ragazze erano maggiormente dotate di buona volontà e alcune anche di un ingegno vivo, mentre i ragazzi apparivano più distratti e svogliati, e dovetti impiegare una dura fatica per guadagnarli all'interesse e ad una reale partecipazione.
Erano i primissimi anni della scuola dell'obbligo, ed anche le famiglie dimostravano un interesse abbastanza relativo, salvo poche ed encomiabili eccezioni, di quei ragazzi che effettivamente avrebbero comunque scelto la scuola media senza esservi obbligati. Diciamo che in una classe di una ventina di elementi, soltanto quattro o cinque avrebbero compiuto questo passo di propria scelta.
A quindici ragazzi su venti bisognava dunque far capire che istruzione è bello e utile, che le conoscenze della cultura aprono un mondo più ampio e più confortevole, e la possibilità di sviluppare il proprio ingegno, di cui in genere la natura fa dono a tutti.
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