Occorrevano: un portiere, due terzini, tre mediani, due centrocampisti e tre punte, cioè tre attaccanti: un centravanti e due ali.
Pinocchio formò subito due squadre: c'erano ragazzi a sufficienza, quindici per parte, undici titolari e anche quattro riserve.
Prima, però, bisognava fare tanta atletica: giri di campo, salti alla corda, movimenti per le gambe e per le braccia, una lunga preparazione.
I primi contatti con la palla furono molto divertenti: subito si vide che alcuni erano portati e altri no, ma dovevano giocare tutti e divertirsi tutti.
Pinocchio spiegò che ogni squadra otteneva un gol ogni volta che riusciva a gettare il pallone nella rete avversaria superando il portiere anche con tiri da lontano. Una partita durava novanta minuti, due tempi da quarantacinque più un quarto d'ora d'intervallo. Si dovevano evitare i falli, cioè dei colpi ai danni dell'avversario. C'era un arbitro che puniva tutte le scorrettezze.
Era un gran bel gioco. Don Emilio assisteva ai bordi del prato, e si appassionava alle azioni che i ragazzi erano capaci di combinare.
Ce ne volle di tempo, e soprattutto di pazienza, da parte di Pinocchio, ma alla fine i ragazzi appresero bene quello che è definito il gioco più bello del mondo, e Pinocchio trasmise il suo entusiasmo a don Emilio e al padre di uno di quei ragazzi, il generoso Pierotto, che diventò il loro allenatore. Pinocchio faceva l'arbitro, e spiegava che bisognava essere sempre corretti anche nei momenti di maggior tensione e pericolo: una vera scuola di vita.
Piano piano quel gioco si sarebbe sparso per tutta l'Italia, anzi, per tutto il mondo, e sarebbe diventato una vera e grande industria.
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