Enzo Poggi, direttore del settimanale "Totocalcio", era veramente un amico, e fece di tutto per farmi imbucare al CONI, non come giornalista, ma almeno come impiegato nell'Ufficio Stampa.
Infatti, mi fece fare la domanda, organizzò le necessarie visite mediche, e fece le necessarie pressioni. Non era per niente facile entrare al CONI, che era una specie di Ministero dello Sport, una cittadella nei pressi dello Stadio Olimpico con un migliaio di dipendenti.
Infatti entrai, e fui accolto molto bene. Donato Martucci, capo dell'Ufficio Stampa, mi affidò subito l'incarico di rivedere da capo a piedi una grossa pubblicazione sulle Olimpiadi del 1960, che a suo dire era stata scritta in modo grossolano.
Io mi limitai ad effettuare una serie di correzioni, ma il capo non si mostrò molto soddisfatto: avrbbe voluto che la riscrivessi completamente.
Tutte le mattine entravo alle 8.30 timbrando tanto di cartellino, e uscivo inesorabilmente alle 14, sempre con il timbro. Questo mi dava un senso veramente nauseante di schiavitù, specialmente al pensiero che di lì a qualche mese stavo per entrare nella scuola, dove avrei lavorato tre ore al giorno e non di più, rimanendo libero professionista come lo ero stato fino ad allora da giornalista.
La mazzata tremenda venne però alla fine del primo mese di lavoro: all'atto della riscossione dello stipendio, mi resi conto di essere stato inserito tra gli impiegati del gruppo C, e che lo stipendio consisteva esattamente in quelle sessantamila lire che mi guadagnavo con le collaborazioni giornalistiche.
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