Mi stavo ormai staccando sempre più dal mondo del giornalismo per concentrarmi sugli studi e sul mondo della scuola, quando Antonio Ghirelli fu richiamato alla direzione del Corriere dello Sport per provvedere a un suo vero rilancio dopo la parentesi Oppo-Sabbatini.
Una mattina Ghirelli mi convocò al Corriere e mi propose la riassunzione al giornale, offrendomi di curare la rubrica dell'automobilismo. In cambio avrei dovuto rinunciare alla causa che avevo in corso con il giornale. Ghirelli stava cercando di recuperare tutti i vecchi collaboratori che erano stati spazzati via in sua assenza.
Io però ormai avevo deciso: la scuola per sempre. Quella offerta dell'automobilismo, oltretutto, non mi convinceva: io amavo il calcio, di automobilismo non sapevo nulla, non ero un appassionato, non avevo neanche la patente. E poi, con quella causa in corso, nella quale mio fratello maggiore si stava impegnando seriamente, non me la sentivo proprio di affrontare nessun tipo di rischio. Così, alla fine, dissi di no a Ghirelli, il quale commentò: - Come vuoi. Il mio dovere di richiamarti l'ho fatto -
Di lì a pochi mesi, avrei trovato il mio primo posto di lavoro vero nella scuola media di Trevi nel Lazio, in provincia di Frosinone, a pochi chilometri dal mio paese natìo, Acuto. E quello fu davvero l'addio definitivo al mio sogno giovanile di fare il giornalista sportivo, durato dal 1957 al 1967, esattamente per un decennio, dai mei ventitre ai miei trentatre anni.
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