Il momento decisivo del distacco dal giornalismo sportivo avvenne al termine del campionato, maggio 1966, quando il vecchio direttore del Tifone, Riccardo Lalli, mi chiamò in un angolino della tribuna stampa dell'Olimpico e mi comunicò che il Tifone era stato venduto per la terza volta, e sarebbe finito nelle mani di un altro vecchio giornalista, il famoso Giuseppe Colalucci, ex ufficio stampa della Roma.
Colalucci avrebbe gestito il giornale praticamente da solo, in strettissima economia (infatti, non durò più di una stagione ancora), e quindi io sarei rimasto senza contratto di collaborazione.
Mentre Lalli, con la sua testa lucida completamente pelata, mi comunicava queste cose, mi osservava attentamente, perché aspettava chissà quale reazione. Avrei potuto benissimo fare una causa di lavoro ai proprietari, che erano Franco e Gilberto Evangelisti, ma ovviamente non avrei mai avuto il coraggio di farlo, poiché per ben due volte mi avevano accolto in precedenza come collaboratore volontario. Perciò accettai la brutta notizia senza troppa emozione, e la cosa finì lì, anche perché mi rimanevano ancora buone collaborazioni con il "Calcio Illustrato", "Tuttosport" e "Totocalcio", e la mia vera intenzione era quella di lasciare tutto per darmi interamente all'insegnamento.
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