In cambio dei suoi regaletti, nonna Livia chiedeva solo una cortesia: che almeno uno dei suoi piccoli nipoti le facesse compagnia la notte. Nel suo lettone matrimoniale, effettivamente, si perdeva e si sentiva davvero sola.
Così a me, che allora avrò avuto cinque o sei anni, toccava spesso accompagnarla su per le scalette di Vicolo del Fiore, che alle nove di sera erano buie davvero, tanto più con l'oscuramento della guerra: le lampadine dei rari fanali, densamente verniciate di blu, servivano a poco o nulla. Per fortuna c'era la provvidenziale lucerna a olio sotto il mantellone nero a impedirci d'inciampare fra i ciottoli sporgenti del vicolo.
Con me, spesso, venivano anche una e talvolta due cugine mie coetanee, Maria Pia e Maria Luigia, che nonna prelevava dall'altra figlia Maria, a cinquanta metri da casa nostra, per non far torto a nessuno e per stare in più numerosa e allegra compagnia, sfoltendo peraltro anche la densità di popolamento di due famiglie così ampie: di letti e lettini, nonna Livia ne aveva da vendere,nella sua casa di tre piani, una delle più grandi di Acuto.
Ci sistemava come preferivamo: io avevo una branda ai piedi del lettone, le cuginette di cinque e sette anni si ponevano ai fianchi della nonna, e così il freddo lettone piano piano si riscaldava, e il nostro stare insieme ci dava un altro senso di calore, di amicizia, di gioiosa vicinanza.
Mi viene da riflettere che in quei tempi di spartana povertà - si era oltretutto in piena guerra - tra cugini c'era un affetto e una simbiosi che nelle giovani ( e agiate ) generazioni di oggi raramente si riscontrano anche tra fratelli. Forse perchè più rarefatti? O forse perché abituati ad avere tutto e troppo ? ( continua ).
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