lunedì 29 marzo 2010

Il falò - I miei ricordi -22

Ricordo le tessere del fascio portate in piazza e bruciate, sotto le finestre della casa dell'ex podestà. Un falò di notevoli dimensioni, perchè la tessera del partito era in pratica obbligatoria per tutti. Fra tutte quelle tessere in fiamme io cercavo di riconoscere la foto di mio padre, e ogni tanto mi sembrava di averla individuata.
Mio padre era, sia di famiglia che di personale convinzione, piutosto orientato verso il socialismo, ma per amore di pace e per non creare problemi alla numerosa famiglia aveva aderito al P.N.F. Per Necessità Familiari, come si diceva sottovoce.
Comunque i falò e le manifestazioni di gioia, ad Acuto, furono ben presto soffocate: il podestà e il segretario del partito tornarono al loro posto, la sede fu riaperta, la sigla della Repubblica Sociale di Salò sostituì quella fino ad allora in auge, i tedeschi diedero man forte ai fascisti, e tutto tornò come prima, anzi, peggio di prima, perché comparvero le prime SS.
I mesi da ottobre al giugno successivo furono terribili. Mio fratello più grande, coi suoi ventun anni, si era dovuto dare alla macchia, ma l'avevano preso i tedeschi per le montagne di Cappadocia in Abruzzo. Per un miracolo era stato rilasciato, poiché uno zio paterno aveva potuto dimostrare che il ragazzo era estraneo a ogni organizzazione politica.
Proprio in quel periodo era morto mio padre, e per noi quel dolore riuscì a coprire ogni altra sventura e disperazione.
Gli zii di Roma si erano tutti rifugiati in paese con le loro famiglie, nella grande casa di nonna Livia, riempiendo tutti i tre piani. La sera, con le luci spente e le finestre tappate, si ascoltava Radio Londra.
Infatti uno zio aveva portato con sé una radiola molto efficiente; munito di una carta geografica, andava segnando a matita tutti i paesi liberati dagli alleati intorno a Cassino e poi via via più avanti, sulle strade verso Roma, quando il fronte fu finalmente spezzato.
Anche le famiglie degli zii erano ospiti della cantina in cui vivemmo col cuore palpitante di paura e di speranza la notte lunghissima che precedette il 4 giugno del 1944.
In quei mesi, infatti, la vita a Roma si era rarefatta, e la capitale si era in parte svuotata; nel bombardamento di San Lorenzo alcuni nostri compaesani erano morti o avevano avuto le case distrutte, come un nostro amico di 14 anni, Armandino, che ancora portava negli occhi la disperazione e l'orrore.
Per cancellarli, e neanche completamente, occorsero poi anni e anni di pace ritrovata e di ricostruzione fisica e morale.

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