Quell'anno (1944), forse per la prima volta ad Acuto, si realizzarono le classi miste, maschi e femmine insieme. La libertà, così, faceva il suo ingresso anche a scuola. Questo accadde quando la maestra, Concetta, molto aperta e generosa, mise insieme ragazzi di più classi per prepararli, gratuitamente, agli esami di ammissione alla scuola media.
Era un corso a cui accedevano solo volontari, poiché il passaggio alla media non era obbligatorio, e alcuni genitori preferivano che i propri figli rimanessero disponibili per i lavori agricoli già a undici anni.
Le bambine del corso si dimostrarono sveglie quanto, se non più, dei maschietti.
Così, nell'estate del 1945, avendo regolarizzato la preparazione senza "salti" e senza lacune, potei sostenere l'esame sempre al Nazareno di Roma, facendo una gran bella figura e dimostrando che i ragazzi di paese non erano meno svegli e preparati di
quelli di città.
Durante le lezioni normali, aperte a tutti, avevo come compagno di banco, nella prima fila a sinistra, un bambino sfollato da Roma, Riccardo, rimasto in paese anche dopo il passaggio degli alleati perchè la mamma, originaria di Acuto, era parente proprio della maestra Concetta.
Riccardo era un ragazzo dai capelli nerissimi e dagli occhi molto vivaci, ma soprattutto era un campione in disegno, un vero artista. La prima rivelazione la provai quando la maestra ci fece disegnare un presepe, e quello di Riccardo era davvero meraviglioso.
Intanto, in paese, la vita sociale si stava risvegliando. Si stavano formando i sindacati, si avevano le prime riunioni a sfondo politico. Ricordo che Lello il falegname, vecchio repubblicano storico, insegnò a un gruppo di bambini, fra i quali ero anch'io, l'Inno dell'Internazionale: "Su fratelli, su compagni,/ su venite in fitta schiera , / sulla libera bandiera / splende il sol dell'avvenir...
Riccardo fu incaricato di disegnare, su una bandiera rossa fiammeggiante, una meravigliosa spiga di grano, e la bandiera, credo dell'Associazione Agricoltori, sfilò in uno dei primi cortei.
Questo mi faceva ricordare, per contrasto, le riunioni del sabato fascista, e quella divisa di balilla nella quale mi sentivo a disagio, perchè non brillavo certo per virtù atletiche e guerriere, bensì soltanto per un certo spiritaccio selvaggio.
Mi faceva ricordare anche l'assalto alla sede del fascio il giorno stesso dell'8 settembre, quando la porta fu sfondata e tutti, bambini in testa, trafugarono qualcosa: un tavolino, una sedia, una lampada da tavolo, un libro, un piccolo scaffale, tra la disperazione del segretario della sezione, il vecchio Alfonso, che non credeva ai suoi occhi. Ma tutti volevamo avere un "souvenir" di quel regime durato più di vent'anni, non da tutti amato.
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