Nonna Livia era una donna coraggiosa e tenace. Solo, soffriva un po' di solitudine, in quella casa così grande una volta animata dalla laboriosità e dalla vivacità delle cinque figlie, nate nel primo decennio del Novecento. Poi, i matrimoni in serie avevano svuotato quelle stanze ariose e ben protette da muri robusti.
Così, nonna Livia ogni sera veniva a trovare le due figlie, Geltrude e Maria, ancora rimaste in paese e residenti nelle loro graziose casette nei pressi di San Nicola, vecchia chiesa andata distrutta nei secoli e ridotta a piazza, con una magnifica vista dal muretto prospiciente la vallata di Anagni e del fiume Sacco, dai Colli Albani ai Monti Lepini, un paesaggio verde e luminoso.
Nonna si fermava più spesso da noi, perché la nostra casa era la più vicina alla sua, proprio ai piedi delle scalette del Vicolo del Fiore, non olezzante come voleva il suo nome, dopo un percorso breve ma abbastanza irregolare, comprendente anche un piccolo tunnel aperto per mettere in comunicazione piazzette e straducole sviluppatesi in modo estemporaneo.
Acuto è infatti un paese antico, le costruzioni sono addossate le une alle altre, forse a ricordo di lotte tra fazioni nel Medioevo.
Quando, in piena seconda guerra mondiale, fu instaurato il coprifuoco, nonna Livia nascondeva sotto l'ampia mantella nera una lampada a olio, e scendeva con prudenza le scalette del vicolo per salire poi da noi in via Vittorio Emanuele.
Alla nostra casa si accedeva da un portoncino, per una scala abbastanza ripida, di una dozzina di gradini affiancati da un robusto corrimano in ferro, senza il quale ogni salita sarebbe stata una mezza impresa almeno per una persona anziana.
Da noi nonna trovava subito una vampata di caldo, nei mesi gelidi che in un paese di montagna (Acuto si trova a 724 metri di altezza sui Monti Ernici, nel preappennino laziale) si estendono almeno da ottobre a marzo, per mezz'anno intero (continua).
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