martedì 30 marzo 2010

I bambini ebrei - I miei ricordi - 23

Nell'inquieto clima di attesa della liberazione, i bambini delle famiglie ebraiche si erano inseriti tranquillamente con noi: giocavano insieme a noi, andavamo nei giardini pubblici insieme, e anzi neanche sapevamo che fossero ebrei. Li confondevamo benissimo con gli altri bambini delle famiglie sfollate, come era giusto che fosse.
Solo una volta ci accorgemmo che avevano qualcosa di diverso da noi, e non fu per la circoncisione, come vi verrà subito di pensare.
No, fu per la fame. Quella sì che poteva dare un motivo per riflettere.
Stavamo appunto giocando sotto i pini del giardino pubblico di Acuto, nella primavera del 1944. Le scuole erano chiuse, noi bambini non si faceva altro che giocare: che bella, quella vacanza prolungata.
Eravamo in circolo, seduti sull'erba che cresceva folta intorno alle piante di melograno selvatico. Tutti bambini e bambine dai cinque ai dodici anni. Qualcuno si era portato la merenda: due fette di pane con qualche magro companatico dentro.
A un tratto sentimmo un pianto dirotto. Una bambinetta di due o tre anni aveva scoperto una di quelle merende, e l'aveva addentata con evidente soddisfazione, frutto di un appetito a lungo represso. Ma la sua gioia durò poco: le arrivò un manrovescio improvviso da parte della sorella dodicenne, accompagnato da un grido quasi di orrore.
Ci voltammo sbalorditi: la bambinetta aveva addentato una fettina di salame, e la sorella maggiore gliela stava estraendo dalla bocca con un gesto di ribrezzo.
Noi non capivamo: che peccato era mangiare una fettina di salame? Avercelo anche noi...
Quel gesto rimase per noi un mistero. Era pericoloso spiegare che gli ebrei non possono mangiare carne di maiale, è vietato dalla loro religione. E, con i soldati tedeschi che erano in giro per il paese, era assai rischioso che si sospettasse la presenza di famiglie ebree.
Eravamo bambini ignari, ma qualcosa nell'aria ci consigliava di essere prudenti, di non riferire quel fatto neanche ai nostri genitori. Forse la bambina più grande ce lo chiese o ce lo fece capire. E per noi fu un gesto di amicizia e di amore mantenere quel segreto, sentirci complici e sensibili come veri amici.
Quelle famiglie ebraiche rimasero in Acuto fino alla fine della guerra, e nessuno le tradì. Vi ho già raccontato che perfino un dirigente locale del fascio, sor Lello il farmacista, ospitò una di queste famiglie per mesi e mesi, rischiando la vita.

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