Anche i miei genitori hanno avuto un gran numero di figli: otto, poi divenuti sette per la drammatica morte, a tre anni, di Silvestro I, travolto da un camion di trasporti messosi improvvisamente in marcia senza che l'autista si accorgesse di questo bambino impegnato nel gioco alle spalle del mastodontico automezzo.
I sette erano: Vito, Isola, Amalia, Silvestro II, Luigi - il sottoscritto -, Luciano e Maria Vittoria, nati fra il 1922 e il 1940 con una frequenza abbastanza usuale in quei tempi.
La settima, Maria Vittoria, aveva completato il ciclo fruttando l'esonero dalle tasse che Mussolini a quei tempi concedeva in nome di una politica favorevole all'incremento delle braccia da lavoro o anche da guerra (le famigerate baionette).
Infatti i maschi erano cinque, e il primo, Vito, partì effettivamente per la guerra nel 1942, a soli vent'anni: mentre si apprestava a raggiungere il fronte, sopraggiunse l'armistizio dell'8 settembre 1943, e si ritrovò prima sbandato e poi partigiano sulle montagne dell'Abruzzo, sfuggito quasi per miracolo a un arresto da parte dei tedeschi nel piccolo paese di Cappadocia, al confine con il Lazio : ventunenne, e con un fisico da granatiere, non poteva certo mimetizzarsi rientrando ad Acuto, con tutti i nazisti che c'erano in giro. Mio padre fece appena in tempo a rivederlo, a liberazione avvenuta il 4 giugno 1944, poiché moriva a 47 anni per un'angina pectoris la notte dell'8 dicembre di quel medesimo anno, lasciando mia madre vedova con sette figli giovanissimi, ancora giovane lei stessa con i suoi 44 anni.
Geltrude fu una vera madre coraggio, capace di tirare avanti la numerosa famiglia, in un clima di assoluta mancanza di risorse, col negozio ridotto a nulla e il primo figlio entrato al lavoro solo nei mesi successivi, a 22 anni, riuscendo di lì a poco a conseguire una frettolosa laurea in giurisprudenza per ottenere un posto dignitoso, prima in un ente parastatale e poi al Banco di Napoli (continua).
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