Mario D'Amore insiste: per lui il fine di arrivare a Napoli anche in nottata giustifica qualsiasi umiliazione. Lo stesso non è per me, che sento tutta l'umiliazione di viaggiare in quel modo indecoroso, tra i sacchi di farina, magari soltanto per una mezz'oretta di scomodissimo viaggio sui tornanti della montagna.
Non c'è niente da fare: Mario D'Amore costringe Ninì a portarci giù a Piglio. Ninì finalmente accetta, e ci scarica al centro del Piglio, dove sono i miei ricchi cugini e gente che mi conosce. La mia dignità è irrimediabilmente perduta: chissà che cosa avrà pensato Ninì. Va bene che essere insegnante non significa affatto avere tanti soldi e una bella automobile, specialmente allora, ultimi anni '60, quando l'automobile non era ancora il mezzo di trasporto più usato da tutti. Ma Ninì, gran tifoso della Roma, forse si era fatto ben altro concetto di me che per tanti anni avevo scritto articoli per lo squadrone giallorosso sulle prime pagine del Corriere dello Sport.
La mia personale reputazione era bruciata per sempre, svergognato per sempre nel mio paese natìo, caduto per sempre "da tanta altezza in così basso loco" proprio come Dante, costretto a "scendere e salir per l'altrui scale" perché "ahi quanto sa di sal lo pane altrui!" Specialmente agli occhi di Ninì, che di professione faceva proprio il mugnaio.
Ma a Mario D'Amore, giustamente, questo proprio non interessava.
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