E' sera. Siamo schierati nella sala di un gruppo cattolico a Trevi nel Lazio. Mi ha invitato a partecipare Paolo D'Ottavi, ex collega di matematica alla scuola media, ora datosi alla politica: infatti, fra qualche mese sarà sindaco di Trevi.
Siamo un gruppo di ragazzi e di anziani. All'improvviso compare Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, già ministro della Marina Mercantile, ora a caccia di voti per le prossime elezioni politiche. Siamo nel 1968, è primavera.
Evangelisti si siede al posto d'onore e dice: - Non mi metto davanti ad Andreotti, ma dopo di lui, nelle vostre preferenze, devo esserci io. Anzi, sapete che vi dico? Qui, a Trevi, voglio essere anche davanti ad Andreotti, perché m'impegno ad aiutarvi più di quello che voglia fare lui -
Bene. Poche parole secche. Poi si volta verso di me, e mi dice bruscamente. - E tu che ci fai, qui? -
- Io c'insegno, qui a Trevi -
A domanda brusca, brusca risposta. In realtà, Evangelisti ed io abbiamo avuto lunghi anni di contatti, a Roma: io ho lavorato per anni come giornalista anche al suo settimanale, il "Tifone", e per anni al Corriere dello Sport quando lui era consigliere, poi vicepresidente con D'Arcangeli, e infine presidente della Roma. Contatti frequenti, ma non troppo amichevoli, tra lui e me c'era un abisso in tutti i sensi, magari non come idee di partito quanto invece come sistema di vita e come programma di azione. Poi tutto si concluse bruscamente, io lasciai prima il Tifone, poi il Corriere, e gli ultimi contatti con Franco Evangelisti furono piuttosto burrascosi. Infine intrapresi la via dell'insegnamento e mi lasciai tutto il resto alle spalle.
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