Il professor Guido Sentinelli, insegnante di matematica nel mio corso all'Istituto Tecnico "Luzzatti" di Palestrina è stato probabilmente il collega col quale mi sono trovato meglio nel corso di lunghi anni, uuna ventina circa.
Di buon cuore, umile, semplice, abitava in una vecchissima casa storica proprio al centro di Palestrina, in vicolo delle Monache, nel cuore dell'antico tempio della Dea Fortuna risalente a ventotto secoli fa.
Quando in istituto avevamo delle riunioni pomeridiane, Guido non mancava mai l'occasione d'invitarmi a un frugale pranzo a casa sua, dall'affiatatissima moglie e dalla amata madre. Eravamo come fratelli, non abbiamo mai avuto modo, in venti anni, di litigare o di tenerci il broncio: e sì che le occasioni non mancavano davvero, come mi capitava spesso con quasi tutti gli altri colleghi.
Guido era iscritto da molti anni al PCI, era un fedelissimo, e mi raccontava che non mancava mai all'appello di qualsivoglia manifestazione politica, specialmente nella gran faticata di erigere i palchi per i comizi. Che cosa aveva avuto, Sentinelli, in cambio di tanto prodigarsi? Nulla; nessun aiuto per trovare un lavoro ai suoi due figli, che hanno dovuto farsi strada faticosamente da soli. E lui personalmente, nella sua carriera? Nulla.
Sto qui a pensare che Guido ha sofferto per tutta la vita della mia stessa malattia: quella di avere avuto tantissime conoscenze, di aver accumulato un bel po' di meriti, e soprattutto quella di non aver mai saputo chiedere, illudendosi che gli altri vedessero e capissero. Gli altri, invece, hanno solo visto e capito che di uomini buoni e miti come Guido (e me...) era solo il caso di approfittare senza dar nulla in cambio. Io sotto altro cielo, sotto altre stelle, ma che somigliavano terribilmente allo steso cielo e alle stesse stelle di Guido Sentinelli.
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