Prima se ne andò Senad Lulic: quel meraviglioso cursore, dinamico e instancabile, anima del centrocampo biancoceleste, linfa per Hernanes e Klose.
Poi se ne andò Miro Klose, con i suoi spunti irresistibili, i suoi grandi gol: e la Lazio si sentì ancora più vedova.
Poi se ne andò anche André Dias, il gladiatore della difesa, colui che dispensa fiducia a un intero reparto. Ma André, veramente, quest'anno c'è stato sempre poco: nervoso, spesso ammonito e diffidato, spesso squalificato, la sua assenza in questo campionato si è avvertita fortemente.
Un'annata così disgraziata in fatto d'infortuni, alla Lazio non s'era mai vista: Mauri, Brocchi, Cana, Biava, Konko, Radu, Rocchi, Kozak, Dias, un po' tutti, insomma, hanno avuto la loro ondata prolungata di malesseri e incidenti vari.
Malgrado ciò...malgrado certe sconfitte con gol a cappellate, malgrado i quattro gol di Siena, i cinque di Palermo, i tre col Bologna e col Parma, la navicella biancoceleste continua a navigare sull'onda di un magnifico terzo posto, in vantaggio di tre punti su rivali più quotate che rispondono al nome di Napoli e Udinese, senza contare la Roma e l'Inter, pure meglio valutate dalla critica sportiva rispetto all'amabile truppa di zio Edy.
La Lazio che ti becca ben quindici reti in soli quattro incontri, quasi quattro gol a partita, sembra una squadra predestinata. Gli dei del calcio la maltrattano e la amano. Forse le daranno il tempo di recuperare uno alla volta prima Lulic, poi Klose, poi Dias per una cavalcata finale che la porterebbe dritta dritta nel regno del calcio europeo riservato agli squadroni di fama internazionale.
Questo sarebbe il nostro modo di stringerci insieme e di ricordare quel grande del calcio che si chiamava, e si chiamerà sempre, Giorgione Chinaglia, l'alfiere della Lazio spuntata come un fiore nel calcio internazionale a partire da quel fatidico 1974.
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