giovedì 12 aprile 2012

Dall'ira individuale all'indignazione collettiva

Nasce l'idea persino di un cammino di maturazione dell'ira-virtù: dall'ira che reagisce a un torto ricevuto in prima persona alla sana indignazione di fronte alle ingiustizie perpetrate contro il proprio paese e contro la (propria) umanità.
E oggi, a che punto siamo con l'ira? Per anni, specialmente in seguito alle due grandi guerre, le società occidentali hanno intrattenuto un rapporto ambiguo con l'ira. Bandita senz'altro dalla coscienza e dalla cultura, perché ritenuta a priori negativa, l'ira, divenuta un tabù, è finita nell'inconscio, da dove esplode all'improvviso in forme incoscienti e pericolose, come testimoniato dalle cronache nere di tutti i giorni.
Il tabù, insomma, ha eliminato i "riti di iniziazione" all'ira (caccia, pesca, arti marziali, eccetera) nei quali gli adulti insegnavano ai giovani, invece che a rimuovere la propria aggressività, a guardarla in faccia, comprenderla, educarla.
(da un articolo di Giovanni Ventimiglia)

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