Io stavo ancora in collegio ad Alatri, istitutore presso l'Ente Stampa. A quei ragazzi, quasi tutti orfani di padre e di madre, ai quali mi ero molto affezionato, avevo promesso che dal premio di trentamila lire avrei detratto una piccola parte per acquistare un vero e proprio pallone di cuoio al posto della palletta con la quale giocavamo appassionatamente nel loro piccolo cortile.
Andò a finire, invece, che quel pallone io non lo acquistai mai, e ci rimanemmo male sia io che quei ragazzi con i quali condividevo quelle vivacissime partitelle.
Al Nazareno mi accompagnò ovviamente padre Stefano Sarandrea, lo scolopio che dirigeva l'Ente Stampa, e rimase colpito dal fatto che l'oratore degli "Incontri della Gioventù" aveva parlato soprattutto del mio tema, che rompeva gli schemi tradizionali e aveva espresso in forma personalissima le consuete considerazioni sociali.
Ma appena un mese dopo, padre Sarandrea mi fece capire che l'Ente Stampa aveva problemi economici, per cui non avevano più bisogno di un istitutore, e per l'educazione di quella ventina di ragazzi sarebbero stati sufficienti i due sacerdoti, padre Sarandrea e padre Tranquilli.
Perciò io mi ritrovai di fronte a un bivio: ormai non potevo che interrompere il mio compito d'istitutore e la mia vita di collegio, per raggiungere la mia famiglia a Roma in via Carlo Alberto, iscrivendomi per il terzo anno al liceo classico Pilo Albertelli, proprio a fianco di Santa Maria Maggiore.
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