Guido Barlozzini era un fantastico professore d'italiano. Era iscritto al PCI, effettuava energiche campagne elettorali, era sempre impegnato socialmente. A scuola era irreprensibile: nessuno avrebbe mai potuto accusarlo di voler fare proseliti per la sua parte. Insegnava in un liceo di fortissime tradizioni cattoliche, all'interno di un collegio tenuto dai padri scolopi. Il preside Minnocci era un liberale di vecchio stampo, ma tra i due, che noi sapessimo, non c'è stata mai frizione. Il vicepreside Sarandrea era invece molto a destra nello schieramento poltico generale: eppure, nel corpo insegnanti del Conti Gentili, tutto filava a meraviglia.
Barlozzini era un formidabile dantista: capace di stare a parlare un'ora intera di qualsiasi problema riguardante la Divina Commedia, senza neanche guardare il testo. Noi lo stavamo a sentire meravigliati, mentre si aggirava come un orso tra i banchi della classe, con la sua capigliatura ispida alla Gramsci. Personalmente, mi sembrava di non starlo a sentire moltissimo, ma le sue lezioni mi facevano piacere: era un parlatore forbito e inesauribile.
Era un po' distratto e trasandato, da vero artista. Nessuna cura nel vestire. Una volta i miei compagni dei primi banchi si accorsero che era venuto in classe con la patta aperta, e fecero il passaparola per comunicarlo a tutti. Lui non si accorse di nulla, tutto preso dalle sue spiegazioni.
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