A un metro e 40 riuscivo anche a vincere la gara: se avessi avuto un minimo di tecnica avrei potuto raggiungere 1.70 senza sforzo. Ma Colasanti sapeva che con me non sarebbe mai riuscito ad ottenere tanto, e si rassegnava alle mie modeste misure e al mio goffo modo di ottenerle.
In realtà, chi vuole emergere nell'atletica, come del resto in ogni altro sport, deve dedicarsi ad essa
fin dagli anni più giovani: se a otto-dieci anni riesci a compiere determinati movimenti base, tutto ti riuscirà naturale e semplice.
Se gli stessi movimenti cominci a compierli a quindici o sedici, come nel caso mio, risulti sempre legnoso e innaturale. La cosa è ancora più evidente in gare come il getto del peso, nel quale ero assolutamente goffo e ridicolo, e anziché prendere velocità non facevo altro che gettarmi il peso a un paio di metri. Un povero istruttore di ginnastica, a questo punto, non può che rassegnarsi e accettare come sei.
Ricordo che, quando fu istituito nelle scuole il brevetto atletico, che consisteva nelle prove di velocità, salto in alto e getto del peso, nelle prime due riuscivo ad ottenere risultati eccellenti, e nella terza ero assolutamente ridicolo, ed ero costretto ad accettare un brevetto con votazioni mediocri, annullando quanto di buono avevo combinato fino ad allora.
Comunque, posso dire che ai miei tempi del liceo lo sport scolastico, essenzialmente l'atletica leggera, era molto curato ed amato, e non si limitava alle solite scialbe partitelle al calcio, alla pallavolo e alla pallacanestro con cui gli insegnanti di oggi si disimpegnano svogliatamente. I risultati internazionali della nostra atletica leggera, dopo i trionfi di Berruti e Mennea, stanno lì a dimostrarlo.
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