Quella volta, però, qualcuno dei miei fratelli particolarmente affamato aveva fatto fuori anche la mia cena, convinto che io avrei consumato il mio pasto serale assieme ai miei colleghi.
Mia madre Geltrude non si perse di coraggio. Per non lasciarmi il piatto vuoto, prese cinque caramelle e le ricoprì con un altro piatto, sperando che io nemmeno lo sollevassi per curiosità.
Ma non fu fortunata: io venivo dal giornale a digiuno, e dopo aver compiuto una lunga passeggiata notturna con i colleghi e bevuto per sopraggiunta un aperitivo al baretto centrale di Piazza Bologna. Non era certo l'appetito, a mancarmi.
Quando sollevai il piatto, ebbi l'amara sorpresa delle cinque caramelle. Con una casa sempre così affollata, e con un bilancio economico sempre teso come una corda, capitava spesso che anche il frigorifero rimanesse vuoto come quella notte. Niente, forse solo un po' di latte e una crosta di pane. Dovetti andarmene a letto a stomaco vuoto, imprecando come un turco.
La storia delle cinque caramelle diventò un po' il simbolo della nostra situazione familiare, dove abbondavano i titoli di studio e scarseggiavano invece i posti di lavoro, tranne quello del mio fratello maggiore Vito che era dipendente del Banco di Napoli.
Io contribuivo al bilancio familiare con le mie povere 30 mila lire, che era quanto rimediavo come collaboratore - sfruttatissimo - del Corriere dello Sport.
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