Io avevo preferito, per lunghi anni, sostenere lo scomodo pendolarismo tra Cave e Palestrina, anche quando nella mia cittadina di Cave era stata aperta una sezione staccata del mio istituto di ragioneria, ma alla fine, per tante ragioni, avevo ceduto alla comodità di raggiungere a piedi la mia scuola, distante appena duecento metri dalla mia abitazione privata. In questo modo mi risparmiavo viaggi brevi ma affannosi, e soprattutto anche la scomodità di pranzi fuori sede in occasione delle frequenti riunioni pomeridiane degli insegnanti.
Così, negli ultimi sei anni della mia carriera scolastica, dal 1993 fino al 1999, anno in cui sono andato in pensione, ho fatto casa e bottega tra la mia abitazione privata e la mia scuola, trascorrendo un'esistenza comoda e senza troppe scosse, con l'unico svantaggio dell'eccessiva confidenza delle famiglie degli alunni, che era stato il motivo reale per cui non mi ero voluto allontanare da Palestrina quando avrei potuto farlo benissimo quattro o cinque anni prima.
Il nostro beneamato preside, in realtà, aveva preteso che molte delle riunioni scolastiche pomeridiane si tenessero nella sede centrale di Palestrina, quando avremmo potuto benissimo evitare questo disagio tranne che nelle riunioni plenarie del collegio dei docenti. Infatti, nella sezione di Cave c'erano tre corsi completi con più di quindici classi, e con un vicepreside godevamo in realtà di una quasi completa autonomia: ma il preside sembrava godere nel volerci infliggere disagi perfettamente evitabili, per far sentire la forza del suo potere, specialmente nei confronti di quei colleghi che, come me, non risparmiavano critiche al suo operato spesso tirannico e provocatore.
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