Una delle ultime stagioni estive che trascorsi ancora impegnato nei giornali mi risultò piuttosto difficile dal punto di vista psicologico. Si stavano disputando i primi incontri di Coppa Italia e la Roma era impegnata nella trasferta di Catanzaro.
Melillo mi incaricò di andare in trasferta a fare questa cronaca per Tuttosport. C'era un volo charter e lo presi, approdando nel piccolo aeroporto di Catanzaro. Ma qui incontrai un po' tutti gli inviati dei giornali romani, e tra essi nientedimeno che Ezio De Cesari per il Corrriere dello Sport. Fu un incontro poco gradito ad entrambi, in quanto ancora vicino ai fatti che avevano portato alla mia rottura con il Corriere dello Sport e ai conseguenti atteggiamenti polemici.
A mezzogiorno, al ristorante, pranzammo tutti insieme, dato che eravamo sistemati nello stesso albergo, e io sentivo che l'atmosfera non era particolarmente divertente, per me.
I giovani colleghi che affiancavano De Cesari facevano a gara a farmi sentire a disagio. Ricordo che faceva caldo, e io avevo appoggiato la mia giacca marrone alla sedia. Uscii un attimo per andare al bagno a lavarmi le mani, e uno di quegli scagnozzi se ne uscì con parole di scherno, come se quella giacca fosse stata quella di un mendicante. Era un atteggiamento tipico di De Cesari per far pesare la propria superiorità economica e sociale.
Eppure io avevo saputo cose bruttissime sul suo conto: che in una trasferta a Buenos Aires aveva venduto a caro prezzo un suo vecchio cappotto all'ingenuo corrispondente Romolo Babusci, appassionato di moda italiana, ma che poi si era pentito amaramente di aver pagato cento quel che valeva dieci.
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