La tifoseria della Lazio, o meglio la sua parte malata, fa del male alla società, fa del male a se stessa. E' la quarta volta negli ultimi otto anni che la società biancoceleste sarà costretta a giocare a porte chiuse. Danno economico: inutile guadagnare dieci milioni con la partecipazione alle Coppe europee, se poi se ne perdono altrettanti con gli spalti vuoti. Salta in aria tutto il lavoro svolto in società con pazienza certosina e spirito di sacrificio, costruendo tuttavia nello stesso tempo una squadra degna di figurare fra le Sette Sorelle del calcio italiano.
Ma il danno è soprattutto psicologico, della stima che perdiamo in Europa, dell'irrigidimento dei dirigenti UEFA nei nostri confronti. Platini non ci ama, e si comincia a comprendere quali ne sono le ragioni. Il tifo della Lazio è un tifo disordinato e scomposto, e finiscono per comandare quei cento sprovveduti che fischiano i giocatori di colore avversari dimenticando i Keita, gli Onazi, i Cavanda, i Ciani, i Tounkara, tutti giocatori di grandi qualità e di grandi promesse per il nostro avvenire. Gente che, come Onazi, si segnala anche per atti di coraggio civico. I neri possono, e sanno, essere anche migliori dei bianchi, o dei gialli, o di qualunque altro colore possa presentarsi la razza umana. Solo dei cretini possono pensare il contrario.
E' vero: a Trebisonda hanno fischiato i nostri "neri", ma solo perchè hanno dimostrato di essere fin troppo bravi come Onazi, Cavanda, Ciani e Keita. Quei fischi erano irritanti per noi. Pensiamo dunque a non irritare a nostra volta le squadre avversarie, i loro dirigenti, e i dirigenti federali europei: se questi ci puniscono, umiliandoci di fronte a tutta l'Europa, ne hanno un sacrosanto motivo. Inutile presentare ricorsi: giustamente, non ci ascolteranno.
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