mercoledì 2 maggio 2012

Pinocchio ancora burattino: 48. Pinocchio si vergogna

Pinocchio ora si vergognava di essere soltanto un burattino di legno. Non poteva guardare gli altri che lavoravano tranquilli nella sua trattoria, mentre lui se ne stava in disparte e non aveva il coraggio di farsi vedere dalla gente del paese.  Dove era finito il bambino coraggioso e sincero che non aveva paura di nulla e anzi aiutava gli altri a comportarsi bene?
Così, una notte, Pinocchio si alzò piano piano, accese soltanto una candela per lavarsi la faccia e per scrivere questo biglietto: "Perdonatemi, non ho più il coraggio di stare tra voi. Perdono, papà Geppetto, perdono Fatina mia cara. Vado per la mia strada, e forse un giorno mi pentirò, pagherò la mia penitenza, e tornerò a lavorare con voi. Tirate avanti tranquilli in questa trattoria. Addio, il vostro Pinocchio".
Sempre in perfetto silenzio, Pinocchio uscì dalla casa, richiuse la porta dietro di sè, e si inoltrò nella notte.
Andava nel buio non sapendo dove, per la via opposta a quella del paese dei Balocchi, nel quale non voleva davvero tornare.
Sentiva dietro di sé dei suoni strani: una civetta ogni tanto emetteva un "cucù, cucù" che gli incuteva paura. Dove era andato a finire tutto il suo coraggio?
Si ritrovò sulla riva del mare. Nel buio sentì l'acqua che sguazzava ai suoi piedi. Poi sentì una voce che diceva chiaramente: " Pinocchio, accostati!"
- Chi sei? - chiese Pinocchio impaurito.
- Come, non mi riconosci? Sono il Tonno, il tuo amico Tonno, quello che ti aiutò a fuggire insieme al tuo babbo Geppetto dal ventre del Pescecane -

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