Pinocchio ora si vergognava di essere soltanto un burattino di legno. Non poteva guardare gli altri che lavoravano tranquilli nella sua trattoria, mentre lui se ne stava in disparte e non aveva il coraggio di farsi vedere dalla gente del paese. Dove era finito il bambino coraggioso e sincero che non aveva paura di nulla e anzi aiutava gli altri a comportarsi bene?
Così, una notte, Pinocchio si alzò piano piano, accese soltanto una candela per lavarsi la faccia e per scrivere questo biglietto: "Perdonatemi, non ho più il coraggio di stare tra voi. Perdono, papà Geppetto, perdono Fatina mia cara. Vado per la mia strada, e forse un giorno mi pentirò, pagherò la mia penitenza, e tornerò a lavorare con voi. Tirate avanti tranquilli in questa trattoria. Addio, il vostro Pinocchio".
Sempre in perfetto silenzio, Pinocchio uscì dalla casa, richiuse la porta dietro di sè, e si inoltrò nella notte.
Andava nel buio non sapendo dove, per la via opposta a quella del paese dei Balocchi, nel quale non voleva davvero tornare.
Sentiva dietro di sé dei suoni strani: una civetta ogni tanto emetteva un "cucù, cucù" che gli incuteva paura. Dove era andato a finire tutto il suo coraggio?
Si ritrovò sulla riva del mare. Nel buio sentì l'acqua che sguazzava ai suoi piedi. Poi sentì una voce che diceva chiaramente: " Pinocchio, accostati!"
- Chi sei? - chiese Pinocchio impaurito.
- Come, non mi riconosci? Sono il Tonno, il tuo amico Tonno, quello che ti aiutò a fuggire insieme al tuo babbo Geppetto dal ventre del Pescecane -
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