Così Diletta si ritrovò tra i banchi delle ragazze che avevano dieci anni meno di lei a frequentare la scuola media. Le sue mani erano arrossate e callose per i lavori che svolgeva nell'orto e nella campagna il pomeriggio, e prendevano la penna con gioia per svolgere i compiti, nei quali appplicava tutta la sua maturità e la voglia di recuperare e di essere alla pari con le altre.
Le insegnanti, tutte suore, erano soddisfatte di lei. Il suo modo di esprimersi era forse rozzo e troppo spontaneo, ma il ragionamento era profondo e accurato nello scendere in profondità.
Aveva qualche difficoltà in latino e in francese, ma si prendeva la rivincita in matematica e nella storia, dove riusciva ad arrivare dove le altre facevano gran fatica. Studiava e faceva i compiti la sera tardi, quando aveva concluso i suoi lavori nei campi, piuttosto faticosi. Si tratteneva a studiare anche dopo la cena, andando a dormire solo dopo la mezzanotte, anche se poi la levata era alle sei del mattino.
Una volta Diletta sorprese le sue insegnanti con un tema molto bello sul sacrificio e l'amore del prossimo. Aveva fatto una sintesi così bella delle sue esperienze familiari e personali, che la professoressa d'italiano, l'aristocratica suor Pamela, rimase sbalordita di fronte a tanta profondità di pensiero e incalzante sincerità: lo fece leggere alle altre insegnanti, suor Virginia di francese e suor Michela di matematica, che stentavano a credere che una ragazza semiselvaggia e incolta come Diletta fosse capace di tanta finezza di sentimenti e di tanto ardore espressivo.
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