La Lazio non vince più, né in casa né in trasferta. E soprattutto, la Lazio ha completamente dimenticato come si gioca a pallone. Sono quattro settimane abbondanti, dal 27 di ottobre, che aspettiamo una vittoria (Lazio-Cagliari 2-0) in campionato, da allora sono arrivati tre pareggi per 1-1 (Milan, Parma e Sampdoria) e la terribile sconfitta col Genoa per 2-0.
Il sole non sorge più sui colli fatali di Roma e sui nostri viaggi fuori delle mura di Roma, ogni domenica ci mordiamo le mani per la rabbia di non vedere più nemmeno uno sprazzo di gioco.
E' vero, siamo riusciti a vincere una partita in Europa League contro l'Apollon di Limassol con due gol di Floccari, ma poi abbiamo perfino assisitito all'arrembaggio dei semiprofessionsti ciprioti a caccia di un insperato pareggio mancato di poco, solo grazie a una prodezza del giovane portiere albanese Berisha. Un altro albanese, Cana, ha salvato Petkovic al 94' della ripresa a Marassi: Tare, abbiamo commentato, è arrivato in soccorso dell'amico Petkovic, tenendo ancora in piedi la sua panchina. Ma fino a quando?
Il cortese Vladimir resterà biancoceleste fino a giugno, ma se continua così non riuscirà a salvare che qualche misero lembo della sua reputazione calcistica. Continua a cambiare schemi partita dopo partita, come un cieco che brancola nel buio e non conosce più né i suoi uomini né se stesso, il brillante se stesso di un anno fa. I vari Klose, Hernanes, Lulic, Ledesma, Marchetti (anche lui), non riescono più a ritrovare se stessi. Manca assolutamente un uomo di esperienza e di raziocinio come Mauri, ma chissà se anche lui non si sarebbe smarrito in questo marasma di cui non si conoscono le radici.
Passerà? Speriamo. E speriamo, soprattutto, che passi presto.
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