Suor Giuseppina stava pian piano convincendo Rosetta. Si era aperta con lei, aveva parlato del suo amore impossibile che la tormentava, senza rivelare il nome dell'uomo che le stava bruciando ogni energia. Quelle energie poteva dedicarle al Signore, che forse l'avrebbe salvata e le avrebbe dato la serenità.
Nel paese vicino c'era un bel convento, le suore si dedicavano alla preghiera e al lavoro, coltivavano l'orto e la campagna. Altre suore si dedicavano ai bambini dell'asilo, avrebbe potuto farlo anche lei, studiare, era ancora giovane, e prendersi cura dei bambini che le piacevano tanto.
Ma il pensiero di Damiano continuava a tormentarla, e si sentiva presa tra due fuochi, uno più bruciante dell'altro.
Come tenere a bada i genitori che tutti i giorni l'opprimevano con l'ossessione del matrimonio? Un giorno o l'altro sarebbe fuggita, avrebbe bussato alla porta del convento, avrebbe implorato le suore perché l'accogliessero, magari soltanto come suora conversa, una specie di serva del convento in attesa di poter prendere i voti.
Quella era l'unica strada, nella sua mente l'aveva già percorsa mille volte, e suor Giuseppina la spingeva in quel senso perché anch'essa, da ragazza, aveva fatto la medesima cosa quaranta anni prima.
- Sei felice, col tuo abito da suora? - le chiedeva Rosetta con ansia.
- Sono serena. Ho dovuto superare anch'io delle tempeste simili alla tua. Ma tutto è passato, prego Dio con una grande pace dentro al mio cuore. Sarebbe lo stesso anche per te -
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