La morte non è mai possibile sperimentarla direttamente e poi narrarla. Può essere al massimo un'esperienza di privazione dell'altro, da dove può iniziare il cammino di preparazione alla propria morte, ma non è ancora il vissuto della propria morte,che, essendo un momento unico, intimo e irripetibile, non è neanche rappresentabile, non può essere oggetto di narazione. La morte esiste solo per l'io che la vive. E' vero che anche gli altri muoiono, ma quella è la loro morte, non la mia. La morte ci rende insostituibili e radicalmente soli.
Cetamente la morte della persona cara è l'esperienza che fa penetrare la morte nella nostra vita, e ci fa coesistere con la morte. La morte dell'altro entra nela nostra vita come la scomparsa di qualcosa di noi stessi, tanto da trasformare l'esistenza di ognuno di noi, fin dall'origine, in una costante oscillazione fra vita e morte. L'idea della morte si presenta a noi attraverso l'esperienza della perdita relazionale e della solitudine personale. E' inevitabile, quindi, che la stessa idea di morte evochi sofferenza.
(da un'intervista di Alessandro Bettero a Gian Antonio Dei Tos)
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