Io, nel vedermi assegnare un compito così importante come quello di seguire la Roma, fondamentale per il Corriere dello Sport, ero incredulo per la grande felicità, ma De Cesari soggiunse: -Tu, qualunque cosa accada, devi essere "l'uomo mio". Mi devi essere fedele. Altrimenti ti ricaccio dalla "melma" dalla quale ti ho tirato fuori -
Mi fece giurare su quelle parole. Io lo feci, in perfetta buona fede. Qualche anno dopo ci fu chi aiutò un bel po' De Cesari perché mi considerasse un traditore, mentre io non lo avevo mai tradito.
Io volevo fare il giornalista a tutti i costi. E avevo scelto il giornalismo sportivo perché credevo che quello fosse un mondo sano e pulito. Ma nei miei pochi anni di esperienza ho conosciuto una fauna di jene e di sciacalli, capaci solo di azzannare e mordere le persone più indifese.
Già ne cominciavo a conoscere qualcuno, ma era troppo bello quel mestiere che stavo scegliendo, capace di unire il mio amore per il bello scrivere con il mio amore per lo sport.
Mio fratello Luciano, che insegnava al Collegio San Gabriele ai Parioli in qualità di aspirante al sacerdozio, seguiva i miei progressi al giornale e mi invitava spesso a fare la cronaca di un torneo di calcio interno all'istituto.
Ad uno di questi incontri volle che partecipassi anch'io, e lo feci volentieri. Senonché, in una mischia gigante, ricevetti una bella gomitata sul naso, e il giorno successivo mi ritrovai con una densa ecchimosi all'occhio destro. De Cesari mi aveva già organizzato il primo appuntamento alle Tre Fontane, per gli allenamenti della Roma, e quando vide come ero conciato, con un paio di occhiali neri, rinviò il mio esordio di una settimana per darmi il tempo di tornare alla normalità.
Nessun commento:
Posta un commento