Cominciò a questo punto a maturare in me l'idea di trasferirmi al "Corriere dello Sport", dove avrei ricominciato da zero. Per il momento avrei tenuto anche il mio ruolo nel "Tifone", fino a quando al Corriere non fossi venuto a guadagnare altrettanto.
Fu una scelta audace e pagata a caro prezzo. Al Corriere non venivano accettati, da De Cesari a Pennacchia, alcuni miei scritti che si riferivano all'ambiente di Largo dei Lombardi, sede del quotidiano, mentre al Tifone il mio contemporaneo lavoro al Corriere era visto di malocchio.
Quando cominciò la nuova stagione, decisi perciò di lasciare il Tifone e le sue trentamila lire. Nel frattempo mi stavo facendo largo, a piccoli passi, nel "Corriere dello Sport", lavorando nel settore giovanile e dilettantistico. Con umiltà e impegno cercai, e ci riuscii, di entrare nell'organico dei collaboratori fissi, ottenendo grosso modo lo stesso trattamento che avevo al Tifone.
Ai ragazzi di oggi che hanno la passione per il giornalismo, ricordo che è una strada estremamente difficile, che la chiave giusta è sempre stata una "familiarità" con i potenti e i proprietari dei giornali: nessuna meritocrazia iniziale. Questa, al più, si può acquisire in seguito, quando si è "diventati" giornalisti. Per chi tenta l'avventura senza queste premesse, tutto rimane davvero un'avventura senza alcuna garanzia.
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