Giuseppe Melillo era il redattore capo del Corriere dello Sport, ma in realtà ne era il direttore, titolo che spettava solo pro forma al grande, ma ormai vecchio, giornalista Bruno Roghi.
Mi rivolsi a Melillo per cominciare a scrivere qualcosa: era il 18 marzo 1959, il giorno dopo c'era un incontro Italia-Olanda fra squadre dilettanti, e lui mi disse: - Va' allo Stadio Flaminio e fa' le interviste negli spogliatoi ! -
Io andai, tutto felice. Era il giorno di San Giuseppe, non l'avrei mai dimenticato. Ma il giorno dopo, quando andai a leggere l'articolo sul "Corriere", trovai che il commissario tecnico Dino Canestri era diventato il "massaggiatore". Qualcuno, dalla mente incredibilmente perversa e cinica, aveva corretto malignamente il mio articolo, dato che Dino Canestri lo conoscevo benissimo e benissimo sapevo quale era il suo ruolo, per il quale lo avevo intervistato.
Qualcuno, evidentemente, non gradiva la mia intrusione improvvisa, e aveva sistemato le cose a modo suo, a scapito della serietà del giornale. Quando incontrai Melillo il giorno dopo, si mise a gridare: "Aiuto! Aiuto!", come se fossi un appestato. E per riguadagnarmi un pizzico di fiducia ci volle più di un mese di cose fatte bene.
Ancora oggi mi chiedo chi sia stata quell'anima persa a combinare quell'azione disonesta, e col senno di poi mi restano due o tre sospetti. Angherie del genere ne ho subìte in quantità, perché se non sei uno che ha santi in Paradiso (vero, Pistilli?) troverai lungo le scogliere della vita solo diavoli disposti a inforchettarti.
La passione che sospinge un giovane a ricercare la via per la quale si sente portato è però così forte da far superare ogni ostacolo. Qualche mese dopo Ezio De Cesari, caporedattore del calcio, mi chiamò da una parte e mi chiese se ero disposto a seguire gli allenamenti della Roma.
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