Era l'estate del 1955, e io mi iscrissi alla facoltà di lettere alla Sapienza. Però ero combattuto fra due grandi amori, e prima di fare l'insegnante avrei voluto veramente tentare la strada del giornalismo sportivo, in cui queste due grandi passioni si incontravano: la letteratura e il gioco del calcio.
Infatti, nell'inverno precedente, costretto a letto dall'ingessatura fino a febbraio, avevo cominciato a scrivere di calcio sulla pagina sportiva del "Secolo d'Italia", che aveva sede in via Milano. Lì vicino, al Banco di Napoli in via Nazionale, lavorava mio fratello Vito, che aveva fatto amicizia con il vicedirettore di quel giornale e lo riceveva in omaggio ogni giorno.
Così io scrivevo su quelle pagine e vedevo pubblicati i miei articoli grazie al redattore sportivo Alberto Marchesi, brillante giornalista che scriveva anche sul Corriere dello Sport.
Io divenni abbastanza amico di Alberto Marchesi, e cominciai a pensare davvero di diventare giornalista sportivo, come poi avvenne per una quindicina d'anni, durante i quali convissero le due strade delle lettere e dello sport. Quale delle due avrebbe prevalso, era davvero nelle mani di Giove, del quale conobbi più i fulmini e le saette che non i trionfi e la gloria.
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