Fra meno di tre giorni, mercoledì a mezzanotte, scade il termine del calciomercato, e la Lazio è ancora lì, con la sua bancarella tutta intera, una squadra di undici uomini da vendere in nome dello sfoltimento dei ranghi: ridurre la rosa da 35 a 24 giocatori.
Eccolì lì tutti in fila, schierati con un 4-4-2, undici giocatori, alcuni di primo rango, tutti in vendita e nessuno che se li prende: Carrizo; Cavanda Zauri Stendardo Garrido; Ceccarelli Del Nero Foggia Zarate; Makinwa Floccari. Merce che, abbiamo fatto già il conto, ha una valutazione intorno ai cinquanta milioni, ma con la fame internazionale che circola è svalutata in pieno. Inutile che Lotito pretenda indietro i suoi 20 milioni per Zarate, quelli furono i tempi che furono, e che ora non ci sono più.
Questa Lazio che era famosa per la micragnosità dei suoi premi ingaggio ora si sente dire: sì, Pasqualino Foggia va bene, ma ci dovete pagare voi metà del suo stipendio, se no non se ne fa nulla.
Fa specie che il portiere della nazionale argentina, Carrizo, non abbia trovato posto neanche in serie B col suo River Plate che lui ama tanto: ma in serie B gli ingaggi sono ridotti all'ultima sfoglia della cipolla.
Soldi soldi, soldi da saldi. Calcio italiano che sa di muffa, come un pezzo di pane che nessuno ha mangiato e che nessuno mangerà più. Poi ci vengono a dire che una simile categoria di ex lavoratori è riuscita a imporre uno sciopero nazionale. Di tanta nobiltà, oggi ci rimane soltanto tanta miseria; di quel che fu il calcio quattro volte campione del mondo sono rimaste solo le briciole, alle quali nemmeno i cani si accostano più.
E' un brutto segno. La campana suona a morto, e c'è ancora chi crede che sia l'Ave Maria.
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