Sostenuti gli esami di maturità nel 1954, i primi giorni di luglio mi recai in villeggiatura al mio paese natale di Acuto.
Ero consapevole che gli esami non erano andati un granché bene, avevo dei dubbi sull'esito, non potevo però sospettare che le cose sarebbero andate tanto male. Ma la stagione era sotto l'influenza di una cattiva stella, per me, che avrebbe influito su tutta la mia vita.
Il giorno 10 luglio, una domenica, si disputava un incontro amichevole tra due squadre di calcio di Acuto e di Fiuggi giù al campo sportivo della Ciancola. Io ero in campo con gli amici di sempre: Santino, Angelino, Luigino, Tonino, Paolo e Luciano, i soliti di sempre.
Il campo era sassoso e in salita, e a un certo punto la mia gamba destra rimase bloccata da un sasso sporgente. Si sentì un rumore secco, e mi ritrovai steso per terra con un urlo. La gente accorse. Ai bordi del campo c'erano due miei fratelli, Vito e Silvestro, e si resero conto che il femore della mia gamba destra si era spezzato. Fu trovato un camioncino coperto, e dopo una rapida consultazione mi portarono alla clinica Fioretti in Viale Manzoni a Roma. Avevo venti anni compiuti da pochi giorni.
Nella clinica lavoravano degli ottimi ortopedici, e il più bravo di essi, il prof. Pecorella, dopo aver esaminato il mio arto posto in trazione, visto che la frattura dell'apice del femore era nettissima e senza frammenti, decise di non compiere un intervento cruento, ma di aggiustare manualmente l'arto ponendolo sotto rigida ingessatura. All'esterno non c'era dunque alcun segno di ferita. I due tronconi si rinsaldarono presto, e già al primo controllo la lastra mostrò l'incipiente processo di crescita del callo osseo.
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