Non è mica facile farsi assegnare una tesi per la laurea, almeno in certe facoltà estremamente popolose come quella di lettere. Si assiste a una specie di fuga di titolari e assistenti oberati di lavoro: seguire certe tesi voluminose e pesanti non è per niente piacevole, e magari ogni quattro mesi c'è una sfilza di dieci-dodici tesi da seguire.
Più facile può essere se si è bene inseriti nel gruppo, e allora si rispettano i turni. Ma se spunta un fuoricorso che non ha mai seguito, allora tutti gli insegnanti tendono a scaricare il barile. Bisogna avere almeno l'accortezza di scegliere un argomento molto interessante.
Dopo il rifiuto di Giacomo De Benedetti ad assegnarmi una tesi su Saba, pensai subito di scegliere un argomento di Pedagogia con Visalberghi; anche in questo caso avevo un 27 nella disciplina, un voto che non ti garantiva una grande accoglienza.
Per mia fortuna a ricevermi fu un'assistente brava e concreta, Maria Corda Costa. Le dissi che avevo una certa urgenza di laurearmi, perché avevo 32 anni e bisogno di lavorare subito. Era novembre e intendevo laurearmi nella sessione di marzo. Lei mi disse che sarebbe stato difficile: dipendeva più che altro dalla mia bravura.
Sottoposi alla sua attenzione una tesi interessante di Pedagogia del periodo illuminista in Italia: avevo scoperto un libricino molto interessante di Pietro Verri, scrittore milanese, autore del periodico "Il Caffè" nel 1763-64. Pietro Verri, in occasione della nascita della sua prima figlia, aveva scritto un libricino prezioso: "Memorie a mia figlia". Nel titolo c'era un francesismo: mémoires inteso non come ricordi, bensì come consigli. Consigli a mia figlia, come dovrà essere educata per vivere in una società difficile, dove la donna deve affrontare una serie di gravi ostacoli se vuole essere accettata e vuole imporsi.
Era un argomento molto interessante, in un periodo come il 1967, dove il femminismo era uno degli argomenti base della contestazione e della rivolta studentesca.
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