- Mio caro amico...- dice Pinocchio.
- Amico mio caro...- dice Lucignolo.
Tutti e due sono commossi fino alle lagrime.
- Ma come? - dice Pinocchio - Ti ho visto rantolare mentre tiravi quella pietra della macina. Diciamoci pure che ti ho visto morire. Eri un povero asinello emaciato e in fin di vita. E ora sei di nuovo un bambino in carne ed ossa, più forte anche di quando stavamo andando al paese della cuccagna...-
- Hai ragione, Pinocchio. Ma devo dire grazie a quella meravigliosa Fata da capelli turchini che anche tu conosci bene, che anche a te ha fatto il dono di diventare un bel bambino in carne ed ossa -
- Già! - fece Pinocchio, e gli venne ancora più da piangere. - Ma raccontami, dai, che non riesco più a starti dietro col ragionamento -
- Quella sera che tu mi vedesti morire - spiegò finalmente Lucignolo - la Fata Turchina entrò nel mulino, e con un piccolo colpo della sua bacchetta magica pian piano mi rimise in piedi, mi abbracciò, asciugò le mie lagrime, e disse: - Tu non devi morire, Lucignolo, anche se sei stato così cattivo ed hai quasi rovinato quell'altro sbandato di Pinocchio. Tu hai ancora un compito e un dovere, nella vita. Perciò vienimi dietro, perché ti porto a casa mia - E così fece. Non so come riuscii a percorrere tutta quella lunga strada, con le zampe tremolanti e la coda e gli orecchi che mi penzolavano penosamente. Era buio fitto, e non ci vide nessuno. Perciò di me non si è saputo più nulla, se non che ero morto davvero, e qualcuno, qualche asinaio, aveva portato via la mia carcassa per farne pelle di tamburo -
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