Un gruppetto di noi insegnanti, sei o sette, dopo un po' di tempo preferì stanziarsi proprio a Trevi nel Lazio, dove era possibile rimanere in pensioni private, vitto e alloggio, per trentamila lire mensili, circa la metà del nostro stipendio. A Roma tornavamo il sabato, per ripartire il lunedì mattina.
Era una vita estremamente comoda e rilassante. A trentatre anni, ancora scapolo e libero da impegni (mi ero appena lasciato con la mia fidanzata originaria di Acuto) con gli altri colleghi della mia pensione, Gianni di Roma, Alvaro di Macerata e Gerardo di Avellino, quest'ultimo munito di una Mini Morris, facevamo lunghe passeggiate, oppure andavamo al cinema nei vicini centri di Alatri, Veroli o Anagni. Avevamo anche un gruppetto di colleghe di una pensione femminile, con Marisa, Adriana, Lia ed altre, per cui non ci mancava neppure una spensierata compagnia femminile.
Gianni finì per fidanzarsi con Lia, una giovane maestra vicina di casa, per poi sposarla, dopo che anch'io le avevo fatto un po' di corte, ignorando che tra loro due si stesse creando un legame.
Le colleghe davano anche qualche festicciola in occasione delle ferie o delle feste di carnevale, dove si ballava in modo discreto e si passavano ore festose.
Anche le nostre albergatrici, le due anziane sorelle Edia e Sistina Del Signore, zie di Lia, ogni tanto organizzavano qualche serata nel loro ristorante, munito anche di un camino, dato che Trevi nel Lazio, da noi ribattezzato Trevi nell'ozio, si trova a 821 metri di altezza ed ha un clima invernale piuttosto rigido.
Mia madre e i miei fratelli, a Roma, avevano accolto bene la mia decisione di rimanermene in provincia: ma tornavo tutti i sabati e domeniche, e continuai ad andare allo stadio e a fare delle episodiche collaborazioni giornalistiche per altri tre anni, fino al 1970.
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