Polifemo parlava come un amico, ed effettivamente il gigante si era proprio affezionato a Pinocchio: amava le sue battute, e il suo arguto parlare toscano.
Polifemo si era molto divertito alla storia del pezzo di legno diventato burattino, e del burattino che era diventato bambino. Si faceva raccontare da Pinocchio tutti i particolari: Geppetto, la Fata dai capelli turchini, Lucignolo, il Paese dei Balocchi, e rideva a crepapelle quando i due ragazzini furono trasformati in somarelli.
Però, quando arrivava la sera e andavano a dormire nella grande spelonca, dove si ammassavano tutte le pecore e i montoni, Polifemo chiudeva l'ingresso della grotta con una pietra enorme, e Pinocchio si sentiva prigioniero. La grotta rimaneva quasi al buio, illuminata soltanto debolmente dalla brace di un fuoco che il gigante teneva sempre acceso. Pinocchio stava già studiando il modo di fuggire, proprio come Ulissse, ma sarebbe stato molto difficile.
Di giorno, Polifemo non lasciava mai un attimo solo il burattino: era diventato davvero il suo occhio, controllava le pecore da vicino come un cane fedele.
- Perché non ti fai un cane che ti aiuti a tenere unito il gregge? - chiese Pinocchio.
- Non mi fido dei cani. Nessuno si affeziona a me. Ho provato tante volte, ma credo che il mio grande occhio accecato gli metta soggezione e paura. I cani, quando mi vedono arrivare, scappano via terrorizzati e vanno ad avvisare i loro pastori mettendoli in guardia contro di me. Anzi, ho capito anche che li aiutano a rubare qualche pecora dal mio gregge. Tu invece, Pinocchio...gli dei ti hanno mandato per aiutarmi. Io ti voglio bene: non tradirmi! -
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