La vita, alla "trattoria di Pinocchio", aveva ripreso il suo ritmo normale. Quando c'era lo spettacolino musicale, la sera, i tavolini erano sempre pieni, e il lavoro era intenso per tutti.
Un giorno, però, il postino portò una lettera indirizzata al signor Remigio Fioretti, presso la "Trattoria di Pinocchio". Remigio la prese con una certa ansia, l'aprì, e lesse queste parole: "Il barone Carlo Fioretti di Picinisco, nel Lazio, è deceduto un mese fa. Nel suo testamento ha lasciato erede universale il suo unico nipote Remigio Fioretti, che riceverà in eredità il palazzo baronale e i terreni agricoli e boschivi. Il signor Remigio Fioretti deve rientrare nei termini di quaranta giorni a Picinisco per la firma dei documenti. Il notaio Romeo Cristaldi".
Remigio, leggendo, era diventato bianco in volto per la grande emozione. Gli dispiaceva moltissimo per il caro zio perduto così all'improvviso, mentre non sapeva che farsene di quel palazzo e di quelle terre, ma non poteva lasciar andare tutto così.
Fece leggere la lettera a Pinocchio, Pinocchio ne parlò con Geppetto, la Fata Turchina e mastro Ciliegia, e tutti furono d'accordo: Remigio doveva assolutamente andare a Picinisco.
Naturalmente, Ulderico e Lamberto si offrirono di accompagnarlo con il cavallo e il carretto: conoscevano benissimo la via, ed erano felici che il loro amico Remigio avesse avuto quella grande fortuna.
Stabilirono che sarebbero partiti l'indomani mattina presto.
E Pinocchio? Era tentato fortemente di partire anche lui, ma Geppetto e la Fata Turchina si opposero. - Pinocchio, sei stato già due anni lontano dalla tua casa e vuoi già ripartire? Non hai un po' di amore anche per noi? -
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