Tanta era la voglia di fare un po' di teatro, nel nostro gruppetto, che ad un certo punto accettammo pure di lavorare in trasferta, cioè nel vicino rione di San Pietro.
Di solito, recitavamo nell'atrio di un portone semideserto, dove c'era come palcoscenico naturale un "passetto" sopraelevato di due scalini, che consentiva sia una platea in piedi, sia una galleria costituita dalla scalinata.
San Pietro è il rione più vecchio del paese di Acuto, con case veramente antiche, oggi quasi tutte vuote e sostituite con abitazioni moderne in zone più comode.
Una nostra amica del rione, Maria di Santa, ci disse che la sua famiglia sarebbe stata assente per una settimana, e di avere disponibile il suo appartamento per una nostra recita: palcoscenico sarebbero stati due tavoli accostati davanti al muro della cucina, e il pubblico si sarebbe accomodato sulle sedie e le panche tra la cucina stessa e l'anticamera, che insieme potevano benissimo contenere una cinquantina di spettatori.
Era quanto ci bastava. La commediola in scena era quella di "Cenerentola e il principe Caposecchio", derivata dalla favola dei fratelli Grimm. Regista era l'intraprendente cugina Maria Luigia, la nostra Lina Wertmuller, che aveva l'argento vivo addosso e tutta una serie d'iniziative da realizzare.
In quattro e quattr'otto sistemammo il rozzo palcoscenico, preoccupandoci di coprire con dei lenzuoli il pentolame della cucina pendente dalla parete. La scena iniziale doveva rappresentare un giardino; sarebbe seguita la volta del castello, con il ballo finale.
A me toccava un ruolo delicatissimo: facevo una rapida comparsa iniziale come "principe Caposecchio", con un secchio in testa per non essere identificato subito da Cenerentola, alla quale mi sarei rivelato solo nelle scene conclusive, quelle dell'invito al ballo. Cenerentola era un'altra mia cugina della mia età, che con la sua carnagione bianca e i suoi capelli color ebano era molto tagliata per quel ruolo.
Tutto procedeva bene, la conversazione con Cenerentola fu rapida e divertente. Ma sul più bello, i lenzuoli che coprivano le pentole sul fondo cucina caddero giù, e invece che nel giardino ci ritovammo tutti in un clima più casareccio e da avanspettacolo.
Però nessuno si arrese. Arrivammo, tra risatelle e piccole battute, alla fine del primo atto, e riuscimmo a realizzare il cambiamento di scena. La recita riprese il giusto tono, e alla fine, malgrado tutto, fu applaudita da quelle poche decine di spettatori.
Comunque, non ci azzardammo più ad accettare inviti fuori dal nostro ambiente consueto, dove, se fosse accaduto qualcosa del genere, nessuno ci avrebbe preso in giro. D'altra parte, si trattava come al solito di uno spettacolo completamente gratuito, e se lo scopo era quello di passare un paio d'ore di divertimento, certamente era stato raggiunto oltre le nostre stesse intenzioni.
Eravamo tutti piccoli attori dai dieci ai tredici anni, accomunati dalla medesima passione per il teatro, che oggi sicuramente sarebbe stata sostituita da quella del cinema, più interessante almeno per risvolti economici.
Ma, a quel tempo, il denaro non sembrava essere per noi nessuna fonte d'interesse e di coinvolgimento (continua).
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