Adiacente al nostro istituto tecnico, a Palestrina era anche il liceo classico, e i nostri rapporti erano buoni. Un anno, in una classe terminale del liceo, che doveva affrontare gli esami di maturità, l'insegnante d'italiano era rimasto talmente indietro nel programma da dover chiedere aiuto, sotto forma di un corso integrativo da svolgere nel primo pomeriggio. La segreteria del liceo si mise in movimento per trovare un insegnante disponibile, e lo trovò proprio nel nostro istituto, che aveva ottimi insegnanti di letteratura italiana.
Il primo nome che venne alla mente al nostro preside fu ovviamente quello di Manlio Maggi, un vero colosso di cultura la cui fama era eccellente in tutta la zona. Manlio, però, del quale vi ho parlato in capitoli precedenti, era tanto bravo per quanto era pigro, e quindi rifiutò, proponendo in sostituzione il mio nome.
Per me, fare lezioni di letteratura italiana in una classe terminale del liceo classico costituiva un motivo di onore, e non esitai ad accettare, organizzando subito un programma sul Novecento da svolgere in una ventina di lezioni nei mesi di aprile e maggio. Il liceo disponeva solo di un compenso di modesta entità, sulle duecento mila lire, circa diecimila a ora di lezione, cifra inferiore a quella di una ripetizione privata. Io non badai a questo dettaglio, tutto preso dall'impegno che mi ero assunto, e che mi idusse a preparare anche le lezioni con abbondanti appunti scritti riguardanti Carducci, Pascoli, Pirandelllo, Verga e il Verismo, e poi le correnti più moderne dal Futurismo al Neorealismo e all'Ermetismo. Potevo dedicare non più di due ora a ciascun autore e a ciascuna corrente, comprese alcune letture fondamentali.
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