Questi corsi integrativi finivano per essere una specie di burla perfettamente legalizzata. Veniva dall'esterno un commissario governativo, che si limitava a controllare il registro delle presenze per verificare che il corso si fosse svolto con regolarità, e per il resto si affidava completamente ai commissari interni, cioè agli insegnanti che avevano effettuato il corso. Questi, logicamente, preoccupati di non far figuracce, preparavano preventivamente i compiti scritti degli esami, i cui titoli erano stati trattati nel corso dell'anno, e quanto agli orali si fissavano in precedenza gli argomenti, per cui ogni alunno aveva la possibilità di dare il massimo. C'era ovviamente chi si era preparato con maggior cura, e chi era naturalmente dotato di capacità espressive migliori, per cui la commissione aveva ugualmente modo di attribuire voti differenziati con una certa equità.
Le brutte figure, degli alunni quanto degli insegnanti, erano dunque ridotte al minimo. Un commissario intelligente aveva sempre la capacità di vagliare quanto la preparazione fosse stata approfondita.
A noi capitò, quell'anno, un commissario governativo illustre, professore all'Università della Sapienza di Roma, che io avevavo conosciuto per aver sostenuto con lui l'esame di abilitazione all'insegnamento circa venti anni prima, e c'era tra di noi un po' di ruggine per via di un tema sul Leopardi che secondo me non era stato valutato adeguatamente. Credo che l'illustre cattedratico mi avesse riconosciuto, sia pure a distanza di tanto tempo. Comunque, al termine delle operazioni di scrutinio, il docente volle congratularsi con noi per l'accuratezza con cui avevamo preparato i nostri candidati, e per la serietà e l'impegno con cui avevamo effettuato le prove, e mi parve che fosse particolarmente gentile nei miei confronti.
Nessun commento:
Posta un commento