Generosamente regalava le sue pitture e i suoi disegni agli amici, che dessero ad essi una cornice adeguata, e andando ad ammirarli in casa degli stessi amici, dove trascorreva ore ed ore facendosi servire dei Martini dry di cui era appassionato, e ricambiandoli con inviti al bar dove si esibiva sui tavolini all'aperto in lunghissime sedute, assieme agli amici più colti, destinati peraltro a sorbirsi, ammirati, le sue elucubrazioni culturali.
Manlio era scapolo, e la sua vera passione era l'arte, la pittura e il disegno, perfino quello dei vestiti per l'alta sartoria. Frequentava ogni estate la spiaggia di Positano, dove aveva grandi amicizie, a partire da quella di Franco Zeffirelli, della cui familiarità andava fiero. La zia, morendo, gli aveva lasciato per intero la sua eredità, tralasciando completamente l'altro nipote, un po' scapestrato e irrispettoso. Un'intera palazzina di tre piani, il cui solo pian terreno era utilizzato come negozio da un grande magazzino alimentare: la cifra di affitto fruttava da sola il triplo del suo stipendio da insegnante. Poi, negozi, terreni ed altre risorse da ricco borghese.
Il collega aveva un animo buono e generoso, aveva un eloquio formidabile e una cultura davvero profonda. I suoi allievi lo amavano e lo veneravano, anche se era severo e spietato nelle valutazioni e nelle bocciature.
Era un semidio, e come tale voleva essere trattato. Si riteneva superiore in tutto, e non accettava critiche né ammetteva che altri potessero avere ugualmente una loro cultura: li annullava con la sua convinzione assoluta di essere inimitabile, e a Positano si faceva chiamare "il divino maestro".
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